L’euro è veramente una moneta unica?

L’euro non è una moneta unica in quanto, secondo il Tfue, i diversi Paesi europei possono coniare monete diverse da quelle valide nell’eurozona

L’euro viene definita moneta unica, ma è tale solo in linea teorica perché, a ben guardare, gli Stati dell’UE non hanno perso la loro sovranità monetaria

Dall’anno del suo debutto, il lontano 2002, siamo abituati a considerare l’euro una moneta unica, o almeno così l’hanno definita durante il lungo periodo che ha preceduto la sua introduzione. All’atto pratico, però, l’euro non è affatto una moneta unica in quanto, secondo il Tfue – Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea – i diversi Paesi europei possono coniare monete diverse da quelle valide nell’eurozona; solo le monete da 1, 2, 5, 10, 20, 50 centesimi e 1 e 2 euro sono fissate dalla Bce. Lo dimostra il fatto che il Belgio ha potuto coniare una moneta – seppur commemorativa – da 2,5 euro senza violare alcuna legge.

Perché l’euro non può considerarsi “moneta unica”

L’euro non è una moneta unica: con il termine “euro” si identificano le varie monete nazionali – tutte diverse fra loro – coniate dai Paesi che fanno parte dell’Ue. Queste hanno in comune solo la medesima unità di misura e un rapporto di cambio fisso; ciò significa, ad esempio, che il valore di 1 euro spagnolo è uguale a quello di 1 euro italiano. Tale valore, inoltre, rimane immutato nel tempo.

Oltre al Belgio, anche altre nazioni hanno coniato fin dal 2002 monete commemorative di valori diversi rispetto a quelli fissati dalla Bce.

Gli indigeni sono i migliori custodi delle foreste


Gli indigeni sono i principali esperti della gestione sostenibile delle foreste, un elemento chiave nelle strategie per proteggere il clima.

E così le popolazioni indigene hanno finalmente ottenuto un riconoscimento al vertice internazionale sul clima tenutosi a San Francisco lo scorso mese di settembre.

Nuovi "principi guida" per la collaborazione sostenuti da tre dozzine di province e stati tropicali in nove paesi rafforzano i diritti degli indigeni alla terra, all'autogoverno e la alla gestione delle risorse finanziarie per la salvaguardia delle foreste.

"La partnership tra governi e leader indigeni segna un cambio di paradigma nell'impegno tribale e indigeno", ha commentato Mary Nichols, presidente del Consiglio delle risorse aeree della California, al Global Climate Action Summit. Fino ad oggi, le comunità native nelle foreste dell'America Latina, dell'Africa e dell'Asia hanno visto le loro terre ancestrali degradate e distrutte - a volte con la benedizione dei governi locali o nazionali - da parte delle industrie estrattive (petrolio, oro) e dalla grande agricoltura (soia, palma olio, bestiame).

Persino gli sforzi delle Nazioni Unite per coinvolgere le popolazioni indigene nella prevenzione della deforestazione si sono manifestate "in un contesto di violazioni dei diritti, deportazione e espropriazione, minacce e vessazioni nei territori indigeni e repressione e assassinio di attivisti ambientali da parte di forze statali e private", come sostiene il Centro per la ricerca forestale internazionale (CIFOR). Almeno 207 ambientalisti, metà delle tribù indigene delle foreste tropicali, sono stati assassinati nel 2017, secondo Global Witness.

Il gene responsabile della cardiomiopatia aritmogena

Scoperto dai ricercatori dell'Università di Padova un nuovo gene coinvolto nella cardiomiopatia aritmogena. Provoca la morte improvvisa di giovani atleti

Il gene responsabile lo hanno scoperto i ricercatori dell'Università di Padova. La cardiomiopatia aritmogena causa due morti all'anno ogni 100 mila persone

Scoperto dai ricercatori dell'Università di Padova un nuovo gene coinvolto nella cardiomiopatia aritmogena, responsabile di morte improvvisa di giovani atleti. Si tratta di una malattia ereditaria, che interessa 1 persona ogni 5000 e provoca due morti all'anno ogni 100 mila persone sotto i 35 anni di età.

Per questa malattia, nota al grande pubblico per avere colpito atleti e calciatori famosi, non esiste, a tutt'oggi, una cura. Il gruppo di ricercatori coordinato dalla Prof.ssa Alessandra Rampazzo del Dipartimento di Biologia dell'Università di Padova, è riuscito a scoprire un nuovo gene coinvolto nella cardiomiopatia aritmogena, il gene che produce la proteina "zonula occludens-1".

Come ci si è arrivati

Studi precedenti condotti dal medesimo gruppo dell'Università di Padova avevano già portato all'identificazione di 6 geni associati alla morte improvvisa giovanile. "Questa scoperta è stata fatta partendo da una famiglia affetta da cardiomiopatia aritmogena - spiega la professoressa Alessandra Rampazzo -, in cui si era manifestato un caso di morte improvvisa giovanile. Escluse tutte le cause genetiche fino ad ora note, nel nostro laboratorio la dottoressa Marzia De Bortoli e le colleghe Giulia Poloni e Martina Calore hanno sequenziato tutte le parti del Dna che portano l'informazione genetica in un soggetto malato della famiglia e, partendo da oltre 10.000 varianti genetiche rare, sono arrivate ad identificare il gene responsabile della malattia in questa famiglia".

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