George Orwell fu una creazione della CIA

George Orwell, il cui vero nome era Eric Blair, fu una pura creazione della CIA indipendentemente dall’opinione sulla qualità letteraria del suo lavoro

La Cia convertì George Orwell, il cui vero nome era Eric Blair, nel massimo autore del dopoguerra.

“La verità è che George Orwell, scrive il nostro collaboratore Manuel Medina, era una pura creazione della CIA, indipendentemente dall’opinione sulla qualità letteraria del suo lavoro”. La Central Intelligence Agency non risparmiò un dollaro da investire per promuovere la sua opera”. Dal canto suo, non ebbe scrupoli a diventare uno dei protagonisti della sua opera 1984, denunciando 125 intellettuali ai servizi segreti inglesi, come rivelato da documenti desecretati dal governo di Londra.

George Orwell, il cui vero nome era Eric Blair, nacque in India nel 1903 dove suo padre era funzionario coloniale, da una famiglia ristocratica inglese. Parte dell’adolescenza la passò nel famoso ed elitario “Eton College”, una scuola in cui le classi benestanti inglesi istruivano, ed istruiscono, la loro prole. A 20 anni, l’ammirazione per l’impero inglese lo portò ad arruolarsi nella Polizia Imperiale, venendo assegnato alla Birmania.

Nel 1927, dopo aver accertato direttamente la natura delle forze repressive inglesi nelle colonie, tornò a Londra, dove cercò di farsi strada come scrittore. Come risultato della sua esperienza birmana, dove assistette a tortura e derisione della popolazione nativa, il suo pensiero politico si radicalizzò verso sinistra. Sebbene il rapporto con la polizia inglese e le sue esperienze nel mondo sotterraneo parigino gli fornissero materiali abbondanti per creazioni letterarie, i suoi primi romanzi non ebbero il minimo successo. Nel 1936, Orwell viaggiò in Spagna e si arruolò nell’esercito repubblicano per combattere la ribellione franchista.

Quella esperienza che, in realtà, fu di pochi mesi, servì per scrivere “Omaggio alla Catalogna”, forse il suo miglior lavoro. Durante la presenza in Spagna ebbe l’opportunità di assistere agli scontri tra militanti comunisti e repubblicani, da un lato, e anarchici e del POUM dall’altro. Il dramma di quel combattimento fratricida, che Orwell visse dalla parte dei perdenti, l’avrebbe portato a definirsi ideologicamente uno strano cocktail che combinava anarchismo e una variante originale del trotzkismo.

Martin Pall spiega il grande inganno della rete 5G

Il 5G comporterà pulsazioni particolarmente potenti da utilizzare, che potrebbero quindi essere particolarmente pericolose

Latitante il giornalismo d’inchiesta sui lati oscuri del 5G, OASI SANA pubblica un’inchiesta a puntate per riportare le voci più autorevoli al mondo in campo medico, accademico, scientifico e di ricerca che, a vario titolo, si occupano di elettrosmog e dei pericoli dell’Internet delle cose. PRIMA PUNTATA

Più che il futuro ipertecnologico a portata di mano, il 5G è infatti un progetto mondiale pericoloso per umanità ed ecosistema, totalitario e totalizzante nella previsione della copertura del 98% del territorio nazionale per servire il 99% della popolazione italiana irradiata in maniera ubiquitaria, cumulativa e multipla da inesplorate radiofrequenze (già possibili agenti cancerogeni per l’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro) per cui l’Istituto Ramazzini, prima della commercializzazione delle nuove bande, s’è messo a disposizione del Governo per studiarne in Italia gli effetti biologici.

La prima puntata dell’inchiesta ‘5G, il grande inganno’ non poteva non cominciare dalle parole di Martin Pall, autorevole figura di spicco a livello mondiale, professore emerito di Biochimica e Scienze Mediche di Base all’Università Statale di Washington (Stati Uniti d’America).

“Abbiamo già discusso due questioni che sono essenziali per comprendere il 5G. La prima è che i campi elettromagnetici pulsati sono, nella maggior parte dei casi, molto più attivi biologicamente rispetto ai campi elettromagnetici non pulsati (spesso chiamati a onde continue). La seconda è che agiscono esercitando forze sul sensore di voltaggio dei VGCC (canali del calcio voltaggio-dipendenti), aprendo questi canali del calcio e consentendo che un flusso eccessivo di ioni di calcio fluisca nella cellula. Il sensore di voltaggio è straordinariamente sensibile a quelle forze elettriche, così che le linee guida di sicurezza permettono che veniamo esposti a campi elettromagnetici che sono qualcosa come 7,2 milioni di volte troppo alti.

La ragione per cui l’industria ha deciso di passare alle frequenze estremamente alte del 5G è che con frequenze così estremamente elevate è possibile trasportare molte più informazioni per mezzo di molte più pulsazioni, rispetto a quanto sia possibile trasportare con frequenze più basse anche mantenendosi nella gamma delle microonde. Possiamo essere certi, quindi, che il 5G implicherà un numero di pulsazioni molto maggiore rispetto ai campi elettromagnetici a cui siamo attualmente esposti. Ne consegue che qualsiasi test di sicurezza biologica del 5G deve utilizzare pulsazioni molto rapide, includendo qualsiasi picco a brevissimo termine che possa essere presente, e che sarà presente nel reale 5G.

Nano-laser costituito da una rete di nanofibre polimeriche

Il Nano-laser non-convenzionale è una sorta di minuscola e impalpabile ragnatela, un intreccio di nanofibre polimeriche che emettono e amplificano la luce

Ricercatori dell'Istituto nanoscienze del Cnr, Imperial College e Università di Pisa realizzano un nuovo tipo di Nano-laser basato su un reticolo di filamenti plastici che emettono e amplificano la luce.

Pubblicato su Nature Communications, lo studio apre la strada a una nuova classe di dispositivi che potranno essere usati come sorgenti di luce miniaturizzate e sensori ottici ad alta efficienza

Un team di ricercatori dell'Istituto nanoscienze del Consiglio nazionale delle ricerche (CnrNano) ha sviluppato un nuovo tipo di laser costituito da una rete di filamenti miniaturizzati di polimeri. Il risultato della collaborazione tra Imperial College di Londra, CnrNano, Università di Pisa, Università del Salento e Università di Exeter è pubblicato su Nature Communications, (1) e apre la strada ad una nuova classe di dispositivi laser che potranno essere usati come sorgenti di luce miniaturizzate e come sensori ottici ad alta efficienza.

Il cuore del laser non-convenzionale è una sorta di minuscola e impalpabile ragnatela, un intreccio di nanofibre polimeriche che emettono e amplificano la luce. “Contrariamente ai laser convenzionali che usano specchi o strutture periodiche per intrappolare ed amplificare la luce, in questo dispositivo essa è prodotta e amplificata dalla rete di filamenti”, spiega Andrea Camposeo di CnrNano. “Le nanofibre emettono luce e poi funzionano come fibre ottiche lungo le quali questa si propaga: intrappolata nel reticolo lungo i percorsi di una matrice disordinata la luce è soggetta a interferenze in centinaia di nodi ed emerge amplificata come luce laser”.

I ricercatori hanno realizzato una rete di nanofili composti da materiale fotoattivo, con un diametro di tra i 200 e i 500 nanometri (un nanometro è pari a un milionesimo di millimetro) e con un elevato numero di nodi e di rami. Ogni struttura è una rete disordinata planare, ramificata così da connettere ciascun nodo al loro vicino più prossimo.

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