Ecologia

I cambiamenti del clima erodono le coste dell'Artico canadese

I cambiamenti del clima erodono le coste dell'Artico canadese

Rilevazioni con l'impiego di droni hanno permesso di constatare nell'Artico canadese una rilevante erosione costiera - fino a un metro al giorno - a causa dei cambiamenti del clima.

Le tempeste nell'Artico canadese stanno rimuovendo via quantità crescenti di permafrost costiero - terreno ghiacciato - che viene esposto quando il ghiaccio marino si scioglie durante l'estate.

I risultati evidenziano il cambiamento in atto nella regione poiché un clima più caldo porta a stagioni estive più lunghe. Il ghiaccio marino si scioglie anticipatamente e si riforma più avanti nell'anno rispetto a prima, esponendo la costa a ingenti danni provocati dalle tempeste causate dai cambiamenti climatici.

Un gruppo internazionale di ricercatori, guidati dall'Università di Edimburgo, ha scandagliato dall'alto, con telecamere montate su un drone, lo strato di permafrost di un tratto costiero situato sull'isola di Herschel, conosciuta anche come Qikiqtaruk, al largo della costa dello Yukon nell'Artico canadese.

Nel periodo estivo del 2017, il team ha mappato l'area sette volte nell'arco di 40 giorni. I loro risultati, da modelli computerizzati basati su immagini, hanno mostrato che la costa si era ritirata di 14,5 metri, a volte più di un metro al giorno.

Il confronto con i sondaggi datati dal 1952 al 2011 ha mostrato che il tasso di erosione nel 2017 superava più di sei volte la media a lungo termine per l'area.

Livelli trascurabili di mercurio nelle acque minerali italiane

Livelli trascurabili di mercurio nelle acque minerali italiane

Pubblicato sulla rivista Chemosphere uno studio coordinato dall'Istituto per la dinamica dei processi ambientali del Cnr. La ricerca, con una tecnica analitica specifica per la determinazione del metallo contaminante, conferma i livelli trascurabili per la salute della popolazione.

L'Istituto per la dinamica dei processi ambientali del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Idpa) ha coordinato uno studio sulle concentrazioni di mercurio (Hg) nelle acque minerali naturali italiane in bottiglia. La ricerca "Ultra-trace determination of total mercury in Italian bottled waters" (determinazione di ultra-tracce di mercurio nelle acque in bottiglia italiane) è stata pubblicata sulla rivista Chemosphere, in collaborazione con l'Istituto di nanotecnologia (Cnr-Nanotec), l'Università della Calabria (Unical), le Università Sapienza di Roma, degli Studi di Ferrara, Ca' Foscari di Venezia e Magna Graecia di Catanzaro.

"Nel biennio 2014-2016 sono state raccolte e analizzate in laboratorio, con una tecnica analitica specifica per la determinazione del mercurio (Hg) in ultra-tracce, 244 acque confezionate in bottiglia di 164 marche, rappresentanti il 64% dell'intero mercato italiano. I dati raccolti forniscono informazioni fino ad oggi assenti, confermando i livelli trascurabili di Hg nelle acque in bottiglia italiane, circa mille volte inferiori rispetto al valore limite di 1 microgrammo per litro previsto dalla Direttiva Europea 2003/40/CE", spiega Massimiliano Vardè del Cnr-Idpa. "Il mercurio è uno dei contaminanti più dannosi e indesiderabili, in particolare nell'ambiente acquatico. L'esposizione ad esso, anche a basse dosi, induce effetti avversi sul sistema nervoso centrale del feto, del bambino e dell'adulto e provoca, inoltre, significativa tossicità renale ed epatica, diminuzione della fertilità, alterazioni del sistema immunitario e danni al sistema cardiovascolare".

Oltre alla valutazione della qualità dell'acqua rispetto all'elemento tossico, la ricerca ha fornito importanti indicazioni in merito all'origine del mercurio nelle acque sotterrane.

Meno neve negli USA a causa degli incendi boschivi

Meno neve negli USA a causa degli incendi boschivi

Gli incendi boschivi stanno provocando lo scioglimento della neve all'inizio della stagione, una tendenza che si sta verificando in tutti gli Stati Uniti occidentali e che potrebbe influire sull'approvvigionamento idrico e provocare ulteriori incendi.

A sostenere questa tesi è una ricerca condotta da un gruppo di ricercatori della Portland State University (PSU), del Desert Istituto di ricerca (DRI) e dell'Università del Nevada, Reno. Lo studio, pubblicato sulla rivista Nature Communications, (1) fornisce nuove informazioni sull'entità e la persistenza dei disturbi provocati dagli incendi boschivi che alterano negativamente le principali risorse di acqua piovana.

Il team ha utilizzato misurazioni di laboratorio all'avanguardia sui campioni di neve. Gli strumenti sono stati messi a disposizione dal laboratorio analitico di ghiaccio Ultra-Trace del Desert Istituto di ricerca (DRI) a Reno, in Nevada, così come il trasferimento radiativo (2) e la modellazione geospaziale per valutare gli impatti degli incendi boschivi sulla neve per più di un decennio dopo un incendio. Queste misurazioni hanno permesso di scoprire che non solo la neve si scioglieva in media cinque giorni prima dopo un incendio, ma i tempi accelerati dello scioglimento del manto nevoso continuavano per ben 15 anni.

“Questo effetto fuoco sul precedente scioglimento della neve è diffuso in tutto l'Occidente ed è persistente per almeno un decennio dopo l'incendio”, ha puntualizzato la dottoressa Kelly Gleason, (3) autrice principale e assistente professore di scienze ambientali e gestione nel College of Liberal Arts and Sciences.

Kelly Gleason, che ha condotto la ricerca come borsista post dottorato presso il Desert Research Institute, assieme al suo team citano due ragioni per il precedente scioglimento delle nevi.

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