Ricerche

In futuro dispositivi di archiviazione dati più potenti

In futuro dispositivi di archiviazione dati più potenti

La scoperta può portare a nuovi materiali per la memorizzazione dei dati in dispositivi di prossima generazione. La ricerca, finanziata dall'esercito USA, dimostra, per la prima volta, la chiralità emergente negli skirmioni polari nei superlattici di ossido

La ricerca, pubblicata sulla rivista Nature, (1) finanziata in parte dall'esercito statunitense, ha identificato proprietà in materiali che un giorno potrebbero portare a applicazioni come dispositivi di archiviazione dati più potenti che continuano a contenere informazioni anche dopo che un dispositivo è stato spento.

Un team di ricercatori guidati dalla Cornell University e dall'University of California Berkeley ha fatto una scoperta che apre una miriade di nuove possibilità esplorative di sistemi, materiali e fenomeni fisici.

Gli scienziati hanno osservato per la prima volta la cosiddetta chiralità in skyrmioni (2) polari in un materiale artificiale squisitamente progettato e sintetizzato con proprietà elettriche reversibili. La chiralità è il processo in cui due oggetti, come un paio di guanti, possono essere immagini speculari l'uno dell'altro ma non possono essere sovrapposti l'uno sull'altro. Gli skyrmioni polari sono trame costituite da cariche elettriche opposte note come dipoli. (3)

Gli scienziati hanno sempre dato per scontato che gli skyrmioni potevano comparire solo in materiali magnetici, dove interazioni speciali tra gli spin magnetici degli elettroni carichi stabilizzano i modelli chirali dei contorti degli skyrmioni. E stata una grande sorpresa per i ricercatori identificare gli skyrmioni in un materiale elettrico.

La combinazione di skyrmioni polari e di queste proprietà elettriche può consentire lo sviluppo di nuovi dispositivi che sono di interesse significativo per l'esercito degli Stati Uniti, specialmente usando la chiralità come parametro manipolabile.

Meno neve negli USA a causa degli incendi boschivi

Meno neve negli USA a causa degli incendi boschivi

Gli incendi boschivi stanno provocando lo scioglimento della neve all'inizio della stagione, una tendenza che si sta verificando in tutti gli Stati Uniti occidentali e che potrebbe influire sull'approvvigionamento idrico e provocare ulteriori incendi.

A sostenere questa tesi è una ricerca condotta da un gruppo di ricercatori della Portland State University (PSU), del Desert Istituto di ricerca (DRI) e dell'Università del Nevada, Reno. Lo studio, pubblicato sulla rivista Nature Communications, (1) fornisce nuove informazioni sull'entità e la persistenza dei disturbi provocati dagli incendi boschivi che alterano negativamente le principali risorse di acqua piovana.

Il team ha utilizzato misurazioni di laboratorio all'avanguardia sui campioni di neve. Gli strumenti sono stati messi a disposizione dal laboratorio analitico di ghiaccio Ultra-Trace del Desert Istituto di ricerca (DRI) a Reno, in Nevada, così come il trasferimento radiativo (2) e la modellazione geospaziale per valutare gli impatti degli incendi boschivi sulla neve per più di un decennio dopo un incendio. Queste misurazioni hanno permesso di scoprire che non solo la neve si scioglieva in media cinque giorni prima dopo un incendio, ma i tempi accelerati dello scioglimento del manto nevoso continuavano per ben 15 anni.

“Questo effetto fuoco sul precedente scioglimento della neve è diffuso in tutto l'Occidente ed è persistente per almeno un decennio dopo l'incendio”, ha puntualizzato la dottoressa Kelly Gleason, (3) autrice principale e assistente professore di scienze ambientali e gestione nel College of Liberal Arts and Sciences.

Kelly Gleason, che ha condotto la ricerca come borsista post dottorato presso il Desert Research Institute, assieme al suo team citano due ragioni per il precedente scioglimento delle nevi.

Le proprietà meccaniche dei tessuti umani


Il risultato è stato ottenuto grazie a una tecnica microscopica innovativa e non invasiva, che apre una strada nella diagnostica clinica

Grazie alla sinergia di diversi Istituti del Cnr con ricercatori di Lens e Università di Perugia è stato possibile correlare l'elasticità del collagene alla sua morfologia ultrastrutturale più che alle sue caratteristiche biochimiche.

Grazie alla sinergia di tecnologie e personale del Consiglio nazionale delle ricerche - Istituto nazionale di ottica (Cnr-Ino), Istituto di fisica applicata Nello Carrara (Cnr-Ifac) e Istituto di chimica dei composti organometallici (Cnr-Iccom) di Sesto Fiorentino, Istituto officina dei materiali (Cnr-Iom) di Perugia - con colleghi del Lens e dell'Università di Perugia, per la prima volta è stato possibile correlare l'architettura del collagene alla sua elasticità, mettendo in risalto che le proprietà meccaniche dei tessuti sono determinate dalla morfologia ultrastrutturale del collagene, piuttosto che dalle sue caratteristiche biochimiche.

Il risultato, pubblicato su Nature - Communications Biology, è stato ottenuto grazie alla messa a punto di una tecnica microscopica capace di sondare morfologia, meccanica e biochimica dei tessuti umani in maniera innovativa e, attraverso la diagnostica clinica, apre la strada all'utilizzo della metodica in moltissimi ambiti biologici e biomedici, dalla differenziazione cellulare alla medicina rigenerativa.

“2Lo studio è di fondamentale importanza in molteplici campi. Il collagene infatti è la proteina strutturale più abbondante negli organismi viventi: forma la struttura di ossa, muscoli, tendini, legamenti e cartilagini, oltre a formare il tessuto connettivo su cui crescono e si sviluppano le diverse cellule che formano un organismo”, conferma Silvia Caponi, ricercatrice di Cnr-Iom. "Sappiamo che in ogni struttura biologica le proprietà morfologiche influenzano fortemente le caratteristiche meccaniche e che la corretta funzionalità dei tessuti è garantita dal bilanciamento di composizione chimica, caratteristiche morfologiche e meccaniche. Ora abbiamo un nuovo strumento di indagine in grado di individuare precocemente segnali di alterazioni nei tessuti in maniera non invasiva".

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