Ricerche

Creato ibrido uomo-pecora per i trapianti di organi

Creato un embrione ibrido uomo-pecora per i trapianti di organi. Lo scorso anno era stato realizzato un embrione di uomo e maiale

Per la prima volta è stato creato in laboratorio un embrione ibrido uomo-pecora per i trapianti di organi, in cui è umana una cellula ogni 10.000.

Lo scorso anno era stato realizzato un embrione di uomo e maiale dallo stesso gruppo di ricerca, dove le cellule umane erano una su 100.000. L’annuncio arriva dagli scienziati dell’università della California.

Gli embrioni sono stati distrutti dopo 28 giorni. Tuttavia, spiegano i ricercatori, «l’ibrido rappresenta un passo verso la possibilità di far crescere organi umani negli animali». La notizia è stata ufficializzata per la prima volta nel corso di un convegno svoltosi ad Austin, in Texas, lo scorso febbraio. L’annuncio è stato dato durante una sessione dedicata alla produzione di organi “xenogenici” per i trapianti d’organo. «Uno dei problemi principali per gli xenotrapianti, cioè il trapianto di organi animali negli uomini, è il rigetto, mentre l’altro è la possibile infezione con virus animali», spiega il “Corriere della Sera”.(1) «Gli scienziati stanno tentando di combinare embrioni di animali nelle loro prime fasi di sviluppo, con cellule di pazienti umani in attesa di trapianto», in modo da far sviluppare agli animali gli organi “umani” che supererebbero il problema del rigetto.

Le nuove tecniche di “editing” del Dna, come la “Crispr/Cas9”, potrebbero in teoria aiutare a modificare specifici geni, disattivando la loro capacità di “codificare” per infezioni da retrovirus potenzialmente pericolosi per l’uomo. «Perché un trapianto possa funzionare – continua il “Corriere” – gli esperti ritengono che la percentuale di cellule umane in una “chimera” debba essere almeno dell’uno per cento, quindi siamo comunque ancora molto lontani da questo traguardo».

Studio sulle simulazioni atomistiche del sistema cellulare composto da proteine e Rna

Una simulazione ha permesso di far luce, per la prima volta al mondo a livello atomico, sul funzionamento del sistema spliceosoma, composto da RNA e proteine

Per la prima volta una ricerca della Sissa e del Cnr fa luce con simulazioni atomistiche sul funzionamento di un complesso sistema cellulare, composto da proteine e Rna, i cui difetti sono coinvolti in più di 200 malattie.

Un passo fondamentale per lo sviluppo di possibili farmaci. La ricerca è stata pubblicata sulla rivista Pnas.(1)

Una raffinata simulazione al computer ha permesso ai ricercatori della Sissa e dell’Istituto officina dei materiali del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Iom) di far luce, per la prima volta al mondo a livello atomico, sul funzionamento di un sistema biologico importantissimo, il cui nome è spliceosoma, che lavora come il più abile maestro di atelier. Lo spliceosoma è composto da 5 filamenti di RNA e centinaia di proteine. I ricercatori hanno scoperto che tra questi elementi la proteina Spp42 del lievito (la cui corrispondente nell’uomo si chiama Prp8) coordina i diversi componenti che, tutti assieme, maneggiano i loro strumenti di sartoria per portare a termine un minutissimo processo di taglia e cuci grazie al quale l’informazione genetica può essere correttamente trasformata in un prodotto di perfetta fattura e quindi funzionante, come le proteine. Un processo cellulare molto delicato, il cui difetto è alla base di più 200 malattie nell’uomo, tra cui alcuni tipi di cancro. La comprensione del funzionamento delle componenti dello spliceosoma potrebbe essere di basilare importanza per la cura di queste patologie, ad esempio per lo sviluppo di nuovi farmaci in grado di regolare e modulare l’attività di questi ‘sarti molecolari’. La ricerca è appena stata pubblicata sulla rivista Proceedings of the National Academy of Science of the United States of America (Pnas).

Il ‘taglia e cuci’ dell’informazione genetica

Per dar vita al suo prodotto finale, un gene deve essere prima di tutto copiato da uno specifico apparato. La copia, denominata RNA messaggero o mRNA, è incaricata di trasportare l’informazione contenuta nel DNA agli altri apparati della cellula dove viene trasformata in proteine.

Nuovo studio sui cambiamenti climatici nell’Artico

La temperatura media in Artico cresce più velocemente che nel resto del pianeta e nei fiordi essa cresce più velocemente che nel resto dell’Artico.

Il Consiglio Nazionale delle Ricerche è presente con la base Dirigibile Italia nell'Artico, luogo fragile e cruciale per lo studio dei processi legati al cambiamento climatico.

Ecco due risultati della ricerca su questi importanti e complessi aspetti che danno conferma e in qualche modo quantificano il riscaldamento dell’acqua e dell’aria e lo scioglimento del permafrost, lo strato di terreno perennemente ghiacciato

Il Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) è presente con proprie stazioni e attività di ricerca in entrambi i poli terrestri. In particolare, nel Circolo Polare Artico, gestisce la base Dirigibile Italia.

L’Artico, un luogo fragile e cruciale per la Terra, si sta riscaldando in modo molto maggiore di quanto avvenga nel resto del pianeta. In tale regione molti processi legati al cambiamento climatico possono essere amplificati. Ad esempio, il ritiro dei ghiacci causato dal riscaldamento causa ulteriore riscaldamento perché riduce l’albedo (la capacità delle superfici “bianche” di riflettere la radiazione solare), il riscaldamento della colonna d’acqua in assenza di ghiaccio estivo porta allo scioglimento del fondale marino perennemente ghiacciato (permafrost), con la possibilità che il metano intrappolato nei fondali marini possa essere ceduto all'atmosfera, conseguente aumento di concentrazione di questo gas serra e ulteriore riscaldamento del pianeta.

“La ricerca scientifica italiana in Artico contribuisce agli studi internazionali e interdisciplinari per aumentare la conoscenza dei cambiamenti climatici”, afferma il presidente del Cnr Inguscio. “Il fine è informare i policy maker, la comunità scientifica, le organizzazioni internazionali, le singole persone e, al tempo stesso, collaborare a mitigarne gli impatti e consentire una gestione sostenibile degli ecosistemi naturali e dell’attività umana nella regione”.

Allo stato attuale, l’attività del Cnr nella Stazione artica si esplica attraverso oltre 20 progetti di ricerca, concernenti fisica dell'atmosfera, oceanografia e biologia marina, geologia e geofisica, indagini sugli ecosistemi e sul paleoclima. Ecco due risultati della ricerca su questi complessi e cruciali aspetti:

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