Vaccini: gli strani intrecci delle multinazionali farmaceutiche

VacciniEsiste, in questo nostro mondo globalizzato, anche una “alleanza globale per i vaccini”, di nome GAVI. Essendo globale ha un nome inglese “Global Alliance for Vaccines and Immunisation”.

Tale organizzazione transnazionale che, come è d’uso per questo tipo di… come possiamo chiamarle?, istituzioni, aziende del terziario, compagnie di ventura?, è fuori da ogni controllo pubblico e popolare, è stata fondata nel 2000 dalla famigerata Bill and Melinda Gates Foundation per ”incrementare l’accesso a vaccini nuovi e sottoutilizzati” per i bambini che vivono nei paesi poveri. I vaccini “nuovi” ormai compaiono a un ritmo sempre più incalzante, e che siano sottoutilizzati lo decidono loro. Loro chi?

GAVI sta a Ginevra, dice di collegare settore pubblico e privato (traduzione: il pubblico sono gli stati che pagano, il privato le industrie farmaceutiche che vendono). Ma ci sono anche le agenzie ONU e le ONG, che finanziano o sono finanziate, in questa superalleanza. E cioè, sempre gli stati che pagano (con le nostre tasse, perché i paperoni della grande industria dalle loro possono scalare persino il Brunello Riserva da millecinquecento euri a bottiglia, dato che le loro sono sempre cene “di lavoro”).

Nel gennaio 2000 la fondazione Gates spese settecentocinquanta milioni di dollari (deducibili dalle tasse) per creare GAVI. Lo scopo dichiarato della superalleanza globale è, non solo di “reperire risorse finanziarie” per i vaccini che già sono sul mercato, ma anche per crearne di nuovi (i quali permetteranno di reperire nuove e ingenti risorse finanziarie a chi li fa e li vende.

Questo non è dichiarato ma io e voi siamo ancora dotati di logica). Altro obiettivo dichiarato è arrivare a farli pagare, i vaccini, ai governi delle nazioni “in via di sviluppo”.

Dimmi chi sei e ti dirò cosa vuoi.

E chi c’è a dirigere questa “Alleanza per i vaccini” che dice di volere il bene dei bambini dei paesi poveri?

A tirare le fila è Ngozi Okonjo Iweala, una più che robusta signora nigeriana con un curriculum di tutto rispetto (per la GAVI). È stata per due mandati ministra delle finanze e per un mandato ministra degli esteri del governo nigeriano, prima ancora è stata direttrice della Banca Mondiale, di cui per ventun anni era stata “economista dello sviluppo”; è una dei dirigenti della Fondazione Rockfeller e non vi elenco tutti gli altri incarichi “minori”, perché al suo quattordicesimo incarico da dirigente o consulente in università di mezzo mondo e istituzioni sovranazionali mi sono stufata e ho cominciato a domandarmi come facesse, con tutti quegli incarichi, a mantenersi così grassa, che di solito gli affaristi iperattivi, tra un convegno e un aereo e un altro aereo e una riunione a porte chiuse, fanno appena in tempo a sbafarsi due tartine col caviale e un bicchiere di sciampagna (spuntino di lavoro), anche se poi magari a cena si scolano una bottiglia di Brunello da millecinquecento dollari e fanno bene a scalarla dalle tasse perché loro non smettono mai di lavorare, neanche quando dormono.

Si vede che la signora ha una marcia in più. E il quotidiano britannico The Guardian, infatti, la definisce “una speranza per l’Africa”; e non è il solo, un coro di lodi viene cantato attorno alla ex ex ex ministra nigeriana.

Gli unici che nel coro stonano un po’, peccato, sono proprio i nigeriani. I quali nel 2016 chiedevano conto alla signora Ngozi Okonjo di alcune cosette che non tornavano.

Prima di tutto non tornavano i conti dello Stato di quando lei era ministra delle finanze, secondo l’Alta Corte Federale di Lagos: in quattro anni erano scomparsi trenta bilioni di Naira (la moneta nigeriana, che non vale molto, un euro equivale a circa 230 naira, ma 30 bilioni di naira sono una cifra da capogiro per qualsiasi paese e cambiati in qualsiasi valuta, se pensate che un bilione sono mille miliardi).

E poi c’è stata, sempre nel 2016, una richiesta di indagine su di lei inviata alla ICC (Corte Criminale Internazionale) per uno scandalo di traffico di armi ammontante a due miliardi e rotti, questa volta di dollari.

Visto il curriculum dell’insigne, noi, che non possiamo dedurre dalle tasse, dedurremo molto altro e trarremo le nostre conclusioni, forse un po’ diverse da quelle del Guardian.

Tra i sommi dirigenti di GAVI c’è anche David Sidwell, una specchiata carriera di banchiere internazionale tra Morgan Stanley, JP Morgan, UBS.

Del resto la GAVI non fa mistero della sua propensione finanziaria. A parte il blablabla sul salvare i bambini, quando si passa alle cose serie ecco come presenta sé stessa ai suoi “clienti”. Il titolo è “Il modello affaristico GAVI”, che “raccoglie la domanda dei paesi poveri, e invia ai produttori un chiaro segnale che vi è un ampio mercato percorribile per i vaccini” e “Il sostegno dei donatori… renderà possibile per i produttori fare nuovi investimenti per aumentare la produzione”

Quanto alla salute, pare che non si preoccupino solo di quella dei bambini, dato che in un loro documento dedicato ai fornitori di vaccini e compagnia bella, si impegnano a “migliorare la salute del mercato dei vaccini fino a far sì che la produzione incontri la richiesta… e siano ridotti al minimo i rischi per i fornitori” e si impegnano anche a procurare ai “produttori” “risorse, informazioni e incentivi per superare gli impedimenti ed entrare e competere nel mercato”.

Come azienda non c’è male. Noi italiani possiamo testimoniare che hanno fatto un buon lavoro.

E sempre per parlare di affari...

Poiché abito vicino a un piccolo paese, ogni tanto mi capita di frequentarne il bar che, essendo i piccoli paesi ancora leggermente arretrati, è un luogo di socializzazione, privo di televisione ma dotato di giornale. A cui dò sempre un’occhiata per regolarmi su quali sono le bugie e montature del momento. A parte la cronaca nera, che il più delle volte (non sempre) è veritiera e uno specchio di dove va il mondo e il suo progresso. E lo sono anche gli articoli economici, forse perché i grandi quotidiani ormai non vedono più niente di male nell’arricchirsi a tutto spiano senza badare alle conseguenze. L’importante è che tutto rientri nella legalità o almeno così paia. E le leggi, si sa, cambiano di giorno in giorno e dipendono da chi le fa e da cosa vuole legalizzare.

Perdonate la digressione.

Insomma, mi capita un bel servizio di due pagine su una multinazionale farmaceutica USA, la Eli Lilly, all’avanguardia nei trattamenti contro il diabete. Tutti contenti per gli investimenti in Toscana, e precisamente a Sesto Fiorentino. E sentite qua il pensiero e i sentimenti dei protettori della nostra salute, nella persona del direttore generale di Eli Lilly Italia, uno statunitense di origine russa.

“La nostra presenza è molto bilanciata… Ad esempio in questo momento a livello mondiale c’è una crescita significativa di un nostro farmaco per il diabete, che si chiama dulaglutide, che sta avendo una crescita al di sopra delle nostre stesse aspettative. Uno dei centri di manifattura è proprio l’Italia, dove stiamo accelerando la costruzione di una seconda linea di produzione per rispondere alla domanda mondiale di tale farmaco” (La Nazione, 3 luglio 2017).

Un vero discorso da manager, che si compiace per l’aumento della produzione e delle vendite.

Come un’impresa di pompe funebri godrebbe di un’epidemia di peste. Se ci fosse un’impresa multinazionale di pompe funebri.

Il giornale poi riferisce che l’azienda “nel 2016 ha realizzato 2 miliardi e 737 milioni di dollari di utili, con un incremento del 13% rispetto al 2015”.

“Numeri da record… una delle prime 10 società farmaceutiche del mondo… scoprire, sviluppare, commercializzare farmaci innovativi…”

Evviva evviva! Un vero trionfo. Evviva il diabete e il suo aumento!

Del resto, il diabete non poteva che aumentare, dato che l’OMS e soci hanno abbassato il livello di glicemia considerato normale.

Ah, la magia dei nostri tempi! Come possiamo considerarla, magia bianca o magia nera?

Ma come possiamo fidarci e affidare la nostra salute a chi guadagna dalle nostre malattie?

Se pensate che i padroni delle multinazionali chimico-farmaceutiche hanno interessi e mani in pasta in più o meno tutte le multinazionali, comprese quelle dei prodotti elettronici di cui viene progettato e programmato che si scassino dopo un tempo breve ed effimero da che cominciamo ad usarli, come possiamo pensare che progettino e programmino di farci mantenere o anche conquistare una buona salute?

Se potessero, anche per noi progetterebbero una “obsolescenza programmata”. O lo fanno già? Un po’ diversa da quella dei frigoriferi e dei computer perché noi, se ci scassiamo del tutto, usciamo dal mercato.

Ma ogni essere umano sano è un cliente perso (e da conquistare alla malattia) e loro stessi dichiarano apertamente di voler sviluppare i propri affari: vendere sempre più medicine e di sempre più tipi. Quindi “sperano?” in sempre più malati e di sempre più malattie.

Il fatto è che tutto ciò che riguarda la salute, e quindi anche l’industria farmaceutica e le medicine non dovrebbe essere di proprietà privata. Dovrebbe essere di proprietà pubblica e sotto il controllo del popolo (e mi scuserete questa parola così desueta ma che mi sembra quanto mai appropriata), come l’acqua, come l’energia, come l’istruzione e tutto ciò che non può e non deve essere oggetto di lucro, pena il degrado e la fine di ogni società che abbia un minimo di coesione, un minimo di giustizia.

Nessuno dovrebbe guadagnare, se non uno stipendio per il proprio lavoro di cura, sulle malattie dei suoi simili. E lo stipendio, benché adeguato, non dovrebbe neanche essere lauto, perché vediamo tutti che i lauti guadagni selezionano quasi sempre il peggio di una società.

Invece oggi le industrie farmaceutiche fanno miliardi a gogò, hanno un potere incontrollabile e incontrollato.

Comunque, voglio finire con una nota positiva.

Anche i ricchi hanno un cuore e anche la Eli Lilly ha una fondazione filantropica: Lilly Endowment. Si occupa molto di istruzione e ricerca. L’istruzione le permette, tra l’altro, di formare le nuove leve che ci cureranno coi suoi medicinali. La ricerca è quella sulle biotecnologie sia in agricoltura che in medicina. Così finanziano sé stessi e scalano dalle tasse.

Però finanziano anche le Open Society Foundations di George Soros.

“Cosa facciamo stasera, prof?”

“Quello che facciamo tutte le sere, Mignolo! Andiamo a conquistare il mondo!”

Se stessimo su un altro pianeta, potremmo anche ridere, vedendo tanto arrabattarsi, tramare, ingannare, sgomitare e distruggere per fare soldi mentre la siccità di un’estate rovente devasta terre e cibo, alberi e animali, e proprio grazie a tanto sgomitare, arrabattarsi, competere, ingannare e ammazzarsi.

Le persone più arretrate del mio piccolo paese (i piccoli paesi hanno un po’ di inestirpabile arretratezza genetica), in questa estate apocalittica, incontrandosi dicono “qui si more tutti”.

E gli amici del farmaco non potranno giovarsene. Non ci sono vaccini e medicine per la morte e non si può abbassare il livello ufficiale dell’essere in vita.

Terra alla terra

butto nel composto

torsoli di cavolo

gambi di rucola

prego per loro

che trovino pace

sotto le foglie

nel regno dei lombrichi.

Grata alle calendule

ai fiori del susino

che respingono

l’ululo della morte

che sale dai giornali.

Foto di WerbeFabrik / Fonte: ilcambiamento.it

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