Scienza

In Antartide la storia del clima degli ultimi 1,5 milioni di anni

In Antartide verranno estratte carote di ghiaccio fino a 2.730 metri di profondità che serviranno a ricostruire il clima globale degli ultimi 1,5 milioni di anni.

Ricercatori europei estrarranno in Antartide carote di ghiaccio fino a 2.730 metri di profondità per ricostruire la storia del clima dell'ultimo milione e mezzo di anni

È stato individuato in Antartide, a 40 km dalla base italo-francese Concordia, il sito di perforazione dove estrarre carote di ghiaccio fino a 2.730 metri di profondità, che serviranno a ricostruire il clima globale degli ultimi 1,5 milioni di anni. Un risultato ottenuto grazie al progetto “Oltre EPICA – Oldest Ice”, coordinato dall'Istituto tedesco per la ricerca marina e polare “Alfred Wegener” e finanziato dall'Unione europea, che ha visto il coinvolgimento di ricercatori provenienti da 14 istituzioni di 10 paesi europei. L'annuncio è stato dato questa mattina nel corso dell'assemblea generale della European Geosciences Union a Vienna.

Al progetto partecipa per l'Italia un team di esperti coordinato da Carlo Barbante dell'Università Ca' Foscari di Venezia e ricercatore associato del CNR; le attività si svolgono nell'ambito del Piano Nazionale di Ricerche in Antartide (PNRA), attuato dal CNR per la programmazione e il coordinamento scientifico e dall'ENEA per gli aspetti logistici.

I ricercatori hanno selezionato come sito per la perforazione uno dei luoghi più freddi, spogli e inospitali della Terra, “Little Dome C”, che si trova ad un paio d'ore di motoslitta da “Concordia” nella regione della Terra di Wilkes a una quota di 3.233 metri sul livello del mare. Un luogo in cui le precipitazioni sono molto limitate e dove la temperatura media annuale è di -54 °C (il termometro sale di rado sopra i -20 °C e in inverno precipita a -80 °C).

Come i bambini assimilano il linguaggio

Lo studio scientifico ha rilevato che la conoscenza linguistica dei bambini si concentra principalmente sul significato delle parole

I bambini immagazzinano 1,5 megabyte di informazioni per padroneggiare la loro lingua madre

Una nuova ricerca dell'Università della California Berkeley suggerisce che l'acquisizione del linguaggio tra la nascita e il diciottesimo anno di età è una notevole impresa di cognizione, qualcosa che gli esseri umani sono semplicemente costretti a fare.

I ricercatori hanno calcolato che, dall'infanzia alla giovane età adulta, gli studenti assorbono circa 12,5 milioni di bit di informazioni inerenti il linguaggio. Circa due bit al minuto per acquisire pienamente le conoscenze linguistiche. Se convertiti in codice binario, i dati riempirebbero un disco floppy da 1,5 MB.

I risultati, pubblicati oggi sulla rivista Open Society della Royal Society, (1) mettono in discussione le ipotesi secondo le quali l'acquisizione del linguaggio umano avviene senza sforzo e che i robot potrebbero averlo facilmente padroneggiato.

“Il nostro è il primo studio a evidenziare la quantità di dati che devi imparare per acquisire la lingua” ha detto l'autore senior dello studio Steven Piantadosi, (2) un assistente professore di psicologia all'Università della California Berkeley. “Evidenzia che i bambini e gli adolescenti sono studenti straordinari che memorizzano fino a 1.000 bit di informazioni ogni giorno”.

Ad esempio, quando viene espressa la parola 'tacchino', un giovane studente raccoglie tipicamente alcune informazioni chiedendo: “Un tacchino è un uccello? Si o no? Vola un tacchino? Sì o no?” E così via, fino a cogliere il significato completo della parola 'tacchino'. Un bit, o cifra binaria, è un'unità base di dati nel calcolo e i computer memorizzano le informazioni e calcolano utilizzando solo zero e uno. Lo studio utilizza la definizione standard di otto bit per un byte.

Nuovi farmaci per il tumore al seno

Tenere sotto controllo la produzione di estrogeni e quindi la proliferazione delle cellule tumorali del seno con nuovi farmaci che riducano gli effetti collaterali

Nuovi strumenti farmacologici per terapie che combattano i fenomeni di resistenza e riducano gli effetti collaterali nella cura del tumore al seno.

Queste le prospettive aperte da una ricerca condotta dall'Istituto officina dei materiali del Cnr e finanziata dall'Airc. Il lavoro, che ha coinvolto anche Università di Trieste e Istituto nazionale dei tumori di Milano, è pubblicato su European Journal of Medicinal Chemistry

Il 30% delle donne malate di cancro è affetta da un tipo di tumore al seno, particolarmente frequente dopo la menopausa, indotto da un'eccessiva concentrazione di estrogeni, gli ormoni sessuali femminili. Questi vengono prodotti dall'enzima aromatasi e si legano, attivandola, a una particolare proteina, il recettore agli estrogeni (ERa), che a sua volta è responsabile della proliferazione cellulare alla base della malattia.

Approcci terapeutici classici prevedono quindi di inibire l'enzima aromatasi al fine di interrompere la produzione di estrogeni o di bloccare l'azione di quest'ultimi impedendogli di legarsi al recettore ERa. In questo modo ERa rimane inattivo e non può svolgere la sua funzione di trasmissione del segnale di crescita e riproduzione cellulare.

Questi metodi, sebbene abbiano consentito dei grandi passi avanti nella cura dei tumori al seno, manifestano alcuni limiti rispetto ai quali una ricerca condotta dall'Istituto officina dei materiali del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Iom) e finanziata dall'Airc apre interessanti prospettive.

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