Vivere nell'illusione del futuro

TempoÈ inevitabile: gli uomini non riescono a vivere il presente, piuttosto tendono a proiettarsi nel futuro, quando non si ripiegano sul passato. Si è che l’adesso, oltre ad essere insoddisfacente, è quanto mai effimero: così ci protendiamo, pieni di ingenue speranze, verso l’avvenire.

Non sappiamo neppure se domani saremo ancora vivi, ma non ci stanchiamo mai di progettare, antivedere, concepire, come se il futuro ci appartenesse, come se fosse una miniera di opportunità e di gratificazioni.

Lo stesso Nietzsche, fra i pochi pensatori che non si lascia incantare dal miraggio dell’avvenire, dalle “magnifiche sorti e progressive”, nel momento in cui esorta a vivere l’istante onde sia riempito di gioiosa accettazione dell’esistenza, non vince del tutto l’istinto a proiettarsi nel tempo futuro, dacché, spinto da un disperato ottimismo, è incline a vagheggiare in un'età lontana l’avvento dell’oltreuomo.

La religione e la scienza, ma pure la politica promettono l’eldorado: basta saper aspettare… e si aspetta Godot.

“Domani”: mai vocabolo fu più evocativo, mai vocabolo fu più vuoto.

A differenza di quanto il volgo ripete, l’incitamento di Orazio “carpe diem” non solo non significa “cogli l’attimo”, bensì “afferra il giorno”, ma soprattutto non esprime un triviale edonismo, quanto un’esortazione a strappare ad un destino avaro le pochissime gioie che ci può forse offrire, con la consapevolezza che il domani incombe, foriero di incognite e di insidie.

Più dei filosofi, i poeti additano le verità, non di rado sgradevoli. Leopardi, nel celeberrimo “Sabato del villaggio”, c’insegna a non riporre fiducia alcuna nel futuro: “diman tristezza e noia recheran l’ore”.

La fede nell’avvenire è solo una delle tante illusioni che consentono all’umanità di sopravvivere: è il monito che echeggia pure nel “Dialogo di un passeggere e di un venditore di almanacchi”. L’anno nuovo, che popoliamo di disegni e di sogni, se non sarà simile all’anno che l’ha preceduto, sarà peggiore.

Così, anche se siamo consci nel nostro intimo del perenne, sempre risorgente inganno, ci lasciamo ammaliare dalle sirene del futuro. Eppure, come le sirene che affascinano Ulisse, che cosa può garantire il futuro? Solo la morte.

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