Geologia

Ricostruita la storia geologica del Ririba rift

I ricercatori hanno studiato una porzione quasi sconosciuta della rift valley africana, il rift del Ririba, permettendo di ricostruirne la storia geologica

Un gruppo di ricerca coordinato dall'Istituto di geoscienze e georisorse del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Igg), ha ottenuto nuovi dati sullo sviluppo dei sistemi di rift continentali.

I ricercatori hanno studiato una porzione quasi sconosciuta della rift valley africana, il rift del Ririba (Sud dell'Etiopia), permettendo di ricostruirne la storia geologica. I nuovi dati hanno dimostrato come la sua nascita sia dovuta alla propagazione verso sud della Rift valley etiopica intorno a 3.7 milioni di anni fa, sia stata di breve durata e si sia interrotta da circa 2.5 milioni di anni. Lo studio è stato pubblicato su Nature Communications, nel quadro di un progetto finanziato dalla National Geographic Society

Le rift valley continentali sono processi geodinamici che si manifestano con grandi fratture nella superficie terrestre (rift in inglese significa spaccatura, rottura). La loro espansione, nel tempo, provoca la rottura delle placche continentali e la formazione di nuovi bacini oceanici.

La Rift valley africana è un esempio classico di questi processi geodinamici, il cui sviluppo risulta fondamentale per controllare morfologia, clima e biosfera in Africa orientale e comprendere le relative implicazioni per l'evoluzione della nostra specie nella 'culla dell'umanità'.

Un gruppo di ricercatori, coordinato da Giacomo Corti dell'Istituto di geoscienze e georisorse del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Igg), provenienti da università ed enti di ricerca di diversi paesi (Etiopia, Francia, Germania, Italia, Nuova Zelanda e Regno Unito), ha ottenuto nuovi dati sullo sviluppo recente della Rift valley africana. Lo studio è stato pubblicato su Nature Communications, nel quadro di un progetto finanziato dalla National Geographic Society.

Un quadrilione di tonnellate di diamanti nelle viscere della Terra

Gli scienziati sostengono che potrebbero esserci più di un quadrilione di tonnellate di diamanti nascosti a più di 100 miglia sotto la superficie della Terra

Un recente studio del MIT e della National Science Foundation(1) e di altre università ha rivelato che tra l'1% e il 2% delle rocce interne più antiche del pianeta sarebbe composte anche da diamanti.

Il team di ricerca è anche composto da scienziati: dell'Università della California a Santa Barbara, dell'Istituto di fisica del globo di Parigi, dell'Università della California a Berkeley, dell'Ecole Polytechnique a PALAISEAU Cedex, del Carnegie Institution di Washington, dell'Università di Harvard, dell'Università di Scienza e Tecnologia della Cina, dell'Università di Bayreuth a Bayreuth, dell'Università di Melbourne e dell'University College di Londra.

Gli scienziati sostengono che potrebbero esserci più di un quadrilione di tonnellate di diamanti nascosti all'interno della Terra. Ma è improbabile che i nuovi risultati scatenino una corsa al diamante. I preziosi minerali sarebbero sepolti a più di 100 miglia sotto la superficie, una profondità impossibile da raggiungere. I dati rivelano che le radici cratoniche possono contenere da 1 al 2% di diamante. Considerando il volume totale delle radici cratoniche nella Terra, la squadra di ricercatori calcola che circa un quadrilione di tonnellate di diamanti sono sparsi all'interno di queste antiche rocce, situate a una profondità compresa da 90 a 150 miglia.

Un suono anomalo

Ulrich Faul,(2) (3) ricercatore presso il Dipartimento di Scienze della Terra, Atmosferiche e Planetarie del MIT, e i suoi colleghi sono giunti alla loro conclusione dopo aver sconcertato un'anomalia nei dati sismici. Negli ultimi decenni, agenzie come la United States Geological Survey hanno tenuto registrazioni globali di attività sismica - essenzialmente, onde sonore che viaggiano attraverso la Terra provocate da terremoti, tsunami, esplosioni e altre fonti di scuotimento del terreno. I ricevitori sismici di tutto il mondo raccolgono onde sonore da tali sorgenti, a varie velocità e intensità, che i sismologi possono utilizzare per determinare dove, ad esempio, è nato un terremoto.

Nel Mar Tirreno sono stati scoperti sette nuovi vulcani

Nel Mar Tirreno sono stati scoperti sette nuovi vulcaniScoperti nel Mar Tirreno 7 nuovi vulcani sommersi che, insieme a quelli già noti, formano una catena lunga 90 km. Ad arrivare a queste conclusioni, uno studio a firma Ingv, Istituto per l’ambiente marino costiero del Cnr e Geological and Nuclear Sciences (Nuova Zelanda), pubblicato su Nature Communications

Il Mar Tirreno meridionale svela una nuova catena di 15 vulcani sommersi, di cui 7 fino a ora sconosciuti, una struttura lineare, in direzione Est-Ovest, che misura circa 90 km in lunghezza e 20 km in larghezza. A dirlo uno studio, frutto del risultato di numerose campagne oceanografiche condotte negli ultimi anni da un team internazionale di vulcanologi, geofisici, e geologi marini dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV e IAMC), dell’Istituto per l’Ambiente Marino Costiero del Consiglio Nazionale delle Ricerche (IAMC-CNR) e del Geological and Nuclear Sciences (GNS), Nuova Zelanda. Il lavoro ‘Volcanism in slab tear faults is larger than that in island-arcs and back-arcs’, pubblicato su Nature Communications, impatta sulle conoscenze del Mar Tirreno e apre nuove strade alla interpretazione del vulcanismo in zone di subduzione nel mondo.

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