Ricerche

Batterio sociale con abitudini versatili

Gli scienziati hanno usato il batterio cooperativo Myxococcus xanthus come organismo modello per studiare lo sviluppo e la cooperazione microbica

Un batterio cooperativo è stato utilizzato dagli scienziati come organismo modello per studiare lo sviluppo e la cooperazione microbica.

Molti sistemi viventi condividono una capacità fondamentale di cooperazione. Le piante e gli animali sono costituiti da miliardi di cellule che comunicano tra loro, svolgono compiti specifici e condividono le loro risorse. Molti microrganismi monocellulari cooperano in modi altrettanto versatili: formano comunità e scambiano tra loro geni e risorse utili.

Il microbo Myxococcus xanthus è particolarmente cooperativo. Individuato nei terreni di tutto il mondo, è stato utilizzato dagli scienziati come organismo modello per studiare lo sviluppo e la cooperazione microbica. Le cellule di questo batterio predatore formano gruppi cooperativi che si organizzano per cacciare insieme altri microrganismi all'interno del suolo. Per spostarsi come gruppo, secernono sostanze lubrificanti e gettano appendici che si attaccano alla superficie circostante e ad altre cellule, spostandole in avanti mentre ritraggono queste appendici. Quando scarseggia il cibo, migliaia di questi batteri si aggregano e si trasformano in spore riposanti. Questo stratagemma consente loro di sopportare la fame e la siccità.

In passato gli scienziati teorizzavano che i gruppi di microbi cooperativi in natura potessero essere socialmente omogenei perché ciò avrebbe impedito il conflitto tra le cellule e quindi di minare la cooperazione. È stato dimostrato che individui geneticamente distinti appartenenti a gruppi diversi spesso evitano, ostacolano e si combattono a vicenda. “La nostra conoscenza della composizione genetica all'interno di gruppi cooperativi di questi batteri sociali in natura era molto limitata”, afferma Sébastien Wielgoss, (1) docente nel gruppo di ricerca del professor Gregory Velicer, (2) Istituto per la biologia integrativa, ETH di Zurigo.

In uno studio recentemente pubblicato su Science, (3) i ricercatori hanno utilizzato analisi genetiche per dimostrare che, mentre i gruppi cooperativi del batterio del suolo Myxococcus xanthus consistono in cellule strettamente correlate, il numero di tipi genetici e varietà di comportamento sociale, riscontrati all'interno dei singoli gruppi di corpi fruttiferi, sono inaspettatamente alti. I ricercatori hanno dedotto che queste collezioni di linee cellulari diversificate possono rimanere intatte per centinaia di generazioni.

Olfatto e patologie neurodegenerative

Olfatto - oltre a farci percepire gli stimoli odorosi e a consentirci di relazionarci con il mondo che ci circonda ha un impatto sulle relazioni umane

L'olfatto ci fa percepire gli stimoli odorosi e ci consente di relazionarci con il mondo che ci circonda.

Se non esistesse, la nostra vita sarebbe molto diversa. È un senso fondamentale per gli esseri umani, anche se spesso non ci rendiamo della sua importanza. L'olfatto, oltre a farci percepire gli stimoli odorosi e a consentirci di relazionarci con il mondo che ci circonda, ha infatti impatto sulle relazioni umane. “Fino agli anni '70, questo senso era considerato poco importante poiché nelle varie fasi dell'evoluzione dell'uomo la sua funzione si è ridotta, diversamente da quanto accaduto negli animali”, spiega Alessandro Tonacci, ricercatore dell'Istituto di fisologia clinica (Ifc) del Cnr di Pisa.

A spingerci a sottovalutarne l'importanza è anche il fatto che la perdita della funzione olfattiva ha impatto minore sulla qualità della vita rispetto a quella di altri sensi, come ad esempio la vista.

“Intorno agli anni '70 studi condotti negli Stati Uniti hanno invece dimostrato che esiste una correlazione tra la perdita o la diminuzione dell'olfatto e patologie neurodegenerative, in primis – ma non solo – Alzheimer e Parkinson”, spiega il ricercatore. “Ciò avviene in quanto alcune delle aree corticali nelle quali si verificano i primi episodi di morte cellulare dovuta a queste patologie sono coinvolte anche nel processing del segnale olfattivo rendendo, di fatto, la valutazione olfattiva un utile biomarcatore precoce di insorgenza della patologia. Nel tempo c'è stata quindi una sua rivalutazione e molte sono state le ricerche scientifiche in questo ambito, tanto che nel 2004 il Nobel per la Medicina è stato assegnato agli americani Richard Axel e Linda Buck per le loro ricerche sui recettori olfattivi e sul funzionamento del sistema olfattivo, che hanno permesso di spiegare i meccanismi che permettono di percepire 10.000 odori diversi e di collegarli alla memoria umana insieme alle emozioni che il nostro cervello lega a essi”.

Composti bioattivi dagli aghi di abete bianco

Estraendo solo 500 grammi di aghi di abete bianco in oltre 100 litri di acqua si ricava un additivo superfood più potente rispetto alle Vitamine C ed E

Un processo efficiente e a bassa temperatura, basato sulla tecnologia della cavitazione idrodinamica controllata, per estrarre in acqua straordinari composti bioattivi dagli aghi di abete bianco

estraendo solo 500 grammi di aghi in oltre 100 litri di acqua, risulta un additivo superfood più potente rispetto alle Vitamine C ed E. Lo studio, condotto da un team di ricerca del Consiglio nazionale delle ricerche (Ibimet, Iret), è pubblicato su Foods (1)

Una soluzione a base di acqua e aghi di abete bianco della montagna toscana, in concentrazione di appena lo 0.44%, ottenuta attraverso un processo di cavitazione idrodinamica controllata, ha dimostrato capacità antiossidanti equiparabili o migliori rispetto alle sostanze comunemente usate come riferimento, dalle Vitamine C ed E, al Resveratrolo alla Quercetina.

È quanto emerge da uno studio condotto da studiosi del Consiglio nazionale delle ricerche, dell'Istituto di biometeorologia Ibimet (HCT-agrifood Laboratory) e dell'Istituto di ricerca sugli ecosistemi terrestri (Iret), dal titolo 'Affordable production of antioxidant aqueous solutions by hydrodynamic cavitation processing of silver fir (Abies Alba Mill.) needles', pubblicato dalla rivista Foods.

"Il risultato è interessante non solo in sé, in quanto svela un tesoro nascosto e di grande valore delle conifere e approfondisce le conoscenze sugli antiossidanti naturali, ma anche per il processo di estrazione utilizzato, basato sulla cavitazione idrodinamica, che sta emergendo come una delle tecnologie più promettenti e innovative per l'estrazione di componenti alimentari e sottoprodotti dalla materia prima di scarto della filiera agro-alimentare e, da oggi, anche forestale", osserva Francesco Meneguzzo del Cnr-Ibimet, che aggiunge: "In estrema sintesi, la cavitazione è un fenomeno di formazione, accrescimento e implosione di bolle di vapore in un liquido a temperature inferiori rispetto al punto di ebollizione, che genera microambienti caratterizzati da temperature localmente elevatissime e intense onde di pressione e getti idraulici, capaci di intensificare una serie di processi fisici, chimici e biochimici, in modo efficiente e 'verde'. Per la prima volta, tale metodo è stato applicato al processamento degli aghi di abete (in particolare quelli della specie Abies Alba Mill), con risultati sorprendenti".

La possibilità di produrre soluzioni funzionali senza l'uso di alcun solvente sintetico, in modo non solo rapido, economico e scalabile fino al livello industriale, ma anche capace di trasferire in soluzione acquosa una parte molto più grande dell'attività antiossidante del materiale di partenza, estraendone i principi attivi in modo potenziato, rappresenta una grande opportunità per diversi settori.

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