COVID-19 una pandemia made in China?


COVID-19 una pandemia made in China?

Insabbiamenti, depistaggi, censure, le responsabilità del regime poliziesco cinese nella diffusione della pandemia da virus SARS-CoV-2.

Nel marzo del 2020, nel corso della prima ondata pandemica, in pieno lock down, la Croce Rossa Italiana, di concerto con le autorità governative regionali (prima del Lazio e poi della Lombardia) e centrali (governo Conte M5S-PD) offriva al regime comunista cinese l’opportunità di riscattare la deplorevole reputazione che si era guadagnata con la storiella (lo specchietto per allodole) destinata all’immaginario collettivo occidentale (che aborrisce il consumo alimentare di animali vivi, soprattutto se selvatici e ripugnanti come i pipistrelli, e amenità del genere), dove si raccontava che il luogo di incubazione e origine della diffusione del virus pandemico SARS-CoV-2 era il Huanan Seafood Wholesale Market, noto anche come Huanan Seafood Market (Huanan significa “Cina meridionale”), un Wet-Market, un vasto mercato di animali vivi e frutti di mare nel distretto di Jianghan, a Wuhan, megalopoli iper-moderna che conta 11 milioni di abitanti, si estende su un’area di 8,500 Km2, capoluogo della provincia di Hubei, polo commerciale di primo piano nella Cina Centrale, servita da un aeroporto internazionale che solo nel 2016 ha visto transitare quasi 21 milioni di passeggeri, rendendolo il 14° aeroporto per traffico di passeggeri della Cina.

Ma procediamo con ordine.

Gli antefatti

Tecnici, manager e imprenditori di tutto il mondo (italiani ed europei inclusi) hanno continuato a spostarsi avanti e indietro tra Cina ed Europa fino alla fine di gennaio 2020, quando il virus era già presente e diffuso in Cina. Nel mese di gennaio, l’infezione polmonare causata dal coronavirus SARS-Cov-2 stava già provocando numerosi decessi nell'area metropolitana di Wuhan-Hankou e anche in altre province come Zhejiang e Henan. La prima segnalazione sfuggita alla censura riguardante una forma anomala di infezione polmonare virale antibioticoresistente viene effettuata in ambiente ospedaliero, a Wuhan, e risale al 17 novembre 2019, quando il Dr. Lin Wenliang, oftalmologo 38enne (deceduto poche settimane dopo essere stato infettato dal nuovo coronavirus) informa colleghi e amici della gravità degli effetti indotti da un agente patogeno virale particolarmente aggressivo. Nel dicembre 2019, quando ormai troppi casi si stavano accumulando nei corridoi degli ospedali di Wuhan, altri membri del personale medico-sanitario allertano ripetutamente colleghi e amici di quanto stava accadendo.

Lo stato di allerta ingenerato dalla notizia che stava circolando dentro e fuori l’ambiente ospedaliero non passa inosservato e le autorità (di partito) cinesi, che possono contare su una tecnologia di sorveglianza di massa ben sviluppata e su un sistema sociale altamente controllato, decidono di censurare e punire quei medici e infermieri accusandoli di procurato allarme.

Il 12 gennaio 2020, su ordine emesso dalla Commissione per la Salute Pubblica di Shanghai, organo ufficiale del regime cinese, viene inaspettatamente chiuso il Laboratorio Clinico del Centro di Sanità Pubblica di Shanghai. Il giorno prima il team del professor Zhang Yongzhen, lo scienziato senior del Centro, aveva pubblicato su una piattaforma web “aperta” (non sottoposta a censura) un rapporto scientifico contenente la sequenza genomica del nuovo coronavirus. Pochi giorni prima di rendere pubblici i loro dati, il team del Dr. Zhang aveva riferito dei risultati ottenuti alla Commissione Sanitaria Nazionale Cinese e aveva raccomandato che “misure di prevenzione e controllo rapide e pertinenti” fossero adottate nei luoghi pubblici, dato che il paziente “zero” da cui era stato prelevato il campione analizzato presentava sintomi molto gravi e il virus assomigliava a un gruppo di coronavirus precedentemente trovato nei pipistrelli (catalogati come RaTG13, SL-CoV ZXC21 e SL-CoV ZC45). Di fronte alla inazione delle autorità competenti, l'11 gennaio 2020 il team del Dr. Zhang decideva di rendere pubblico il risultato ottenuto. Un atto sgradito alle autorità cinesi, che il giorno seguente, senza fornire spiegazioni di alcun genere, ordinano la chiusura sine die del Centro di Shanghai. Il Centro inoltrerà quattro richieste formali di spiegazioni chiedendo il permesso di riaprire senza ricevere risposta, è rimasto chiuso. Il South China Morning Post (un quotidiano di Hong Kong edito dal 1903) ha fatto cinque interpellanze alla Commissione Sanitaria del regime cinese per commentare la chiusura del Centro di Shanghai senza ricevere alcuna risposta.

Nel frattempo, siamo alla prima metà di gennaio 2020, le autorità cinesi dichiarano pubblicamente che dal 3 gennaio 2020 non erano stati segnalati nuovi casi a Wuhan e che non vi erano prove di trasmissione da uomo a uomo. Solo a partire dal 23 gennaio 2020 le autorità cinesi intervengono e decidono di adottare misure draconiane, impongono alla popolazione di Wuhan un ferreo lock down (che durerà 76 giorni) e ne approfittano per arrestare e far sparire un certo numero di voci critiche e di dissidenti (accademici, avvocati, giornalisti e attivisti sociali), tra cui uno dei più famosi accademici cinesi, il massimo esperto in diritto costituzionale cinese, il Prof. Xu Zhangrun, della prestigiosa Università TsingHua di Pechino (numero uno in Cina, considerata tra le 25 migliori università del mondo).

Risultato, il regime poliziesco di Pechino ha atteso giorni, settimane, mesi preziosi prima di ammettere lo stato dei fatti e agire ufficialmente. Mettendo a tacere le informazioni sul virus e consentendone la diffusione incontrollata, il regime comunista cinese si è reso responsabile di un disastro umanitario (ad oggi si contano tre milioni di morti COVID-19 correlate e danni collaterali non quantificabili sullo stato di salute fisica e mentale di milioni di persone), economico (sicuramente per i popoli, ma non per gli esperti di finanza speculativa, abituati a guadagnare anche sulle catastrofi, né per le multinazionali del farmaco, dell’HighTech, delle telecomunicazioni e dell’E-commerce, che grazie alla pandemia stanno facendo affari d’oro) e ambientale (l’inquinamento generato a livello planetario dalla produzione, distribuzione e smaltimento dei milioni di tonnellate di presidii sanitari immessi sul mercato a causa della pandemia sono incalcolabili) senza precedenti.

E torniamo alla mano tesa dalle nostre autorità istituzionali al regime di Pechino.

Il 13 marzo 2020 un aereo di linea Airbus A-350, partito da Shanghai, con a bordo una equipe capitanata da un dirigente (vicepresidente) della Croce Rossa Cinese, certo Yang Huichuan, composta da nove sanitari cinesi, sei uomini e tre donne, presentati come esperti che in patria hanno operato in prima linea sul fronte interno della lotta alla pandemia, più nove bancali carichi di ventilatori, materiali per la respirazione assistita, elettrocardiografi, decine di migliaia di mascherine e altri dispositivi sanitari (in totale trentuno tonnellate di forniture sanitarie e oltre 700 strumentazioni), sbarca all’aeroporto di Fiumicino. Ad accogliere la missione cinese di aiuti sanitari (sigh!) ci sono l’ambasciatore cinese a Roma, Li Junhua, e Francesco Rocca, presidente della Croce Rossa Italiana che ospiterà il team. «Il Movimento internazionale della Croce Rossa», ha sottolineato Rocca, «ha dimostrato ancora una volta l’importanza di fare rete. Grazie alla consorella cinese, infatti, possiamo dare una prima concreta risposta alle necessità dei nostri ospedali e degli operatori sanitari che, in questo momento, sono in grande sofferenza».

Sei giorni dopo, il 19 marzo, il presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana, in occasione di una conferenza stampa organizzata a Milano,(1) faceva gli onori di casa a un team di esperti sanitari cinesi arrivati con un volo charter partito dallo Zhejiang, capitanato da un altro dirigente (vicedirettore) della Croce Rossa Cinese, certo Shuopeng Sun. Sotto l’egida della Croce Rossa e incassate le parole espresse poco prima del loro arrivo dalla Croce Rossa Italiana - «un alto numero di medici e infermieri cinesi è in arrivo nelle prossime ora a Milano in aiuto agli ospedali lombardi sotto il coordinamento del vicepresidente [vicedirettore, n.d.r.] Sun Shuopeng che da oggi affiancherà con il suo team l'Unità di Crisi del Comitato Regionale di Croce Rossa» -, Shuopeng Sun si è sentito autorizzato ad elargire consigli su come l'Italia avrebbe dovuto affrontare la situazione emergenziale, suggerendo di imporre un blocco più rigoroso per contenere la diffusione di SARS-CoV-2: «La vita delle persone», ha detto, «è la cosa più importante, non abbiamo una seconda scelta di fronte alla vita».
Il fatto che vengano pronunciate nobili parole in difesa della vita delle persone, da un inviato del regime di Pechino, accusato da Amnesty International e da Human Rights di sistematica violazione dei diritti umani e noto per mettere sempre e comunque al primo posto gli interessi del Partito Comunista Cinese e non quello delle persone, è grottesco, deprimente.
Ma andiamo oltre.

A distanza di un anno da quella pantomima concessa al regime di Pechino all’insegna dei buoni rapporti commerciali, le autorità cinesi continuano, con la complicità di molti politici, scienziati, amministratori e giornalisti non solo italiani ma di varie parti del mondo (come si dice: business is business, gli affari sono affari), a fare tutto il possibile per distogliere l'attenzione dell’opinione pubblica mondiale dalle proprie responsabilità nell’iniziale insabbiamento del rischio di epidemia da coronavirus, nel successivo depistaggio sull’origine del contagio, nella rigida censura e repressione che ne è seguita e nella persistente volontà di nascondere la verità sulla dinamica dei fatti.

Responsabilità che hanno trovato conferma, anche se non era questo l’obiettivo, nelle dichiarazioni rilasciate al termine della recente (gennaio-febbraio 2021) missione effettuata dal team di scienziati dell’OMS (i cui membri e il cui programma sono stati preventivamente approvati dalle autorità cinesi) recatisi in Cina per dare l’impressione di voler fare un po’ di luce sull’origine di SARS-CoV-2. Prima di lasciare la Cina, Peter Ben Embarek, lo scienziato dell'OMS a capo del team, ha detto con parole diplomatiche che la missione non è servita a nulla, ma che dai risultati ottenuti appare "estremamente improbabile" che la pandemia sia stata causata da un incidente di laboratorio occorso in una delle strutture di ricerca biologica ad alto contenimento di Wuhan. L’OMS ha cercato di giustificare l’inconcludenza della missione con un laconico “noi non siamo una commissione d’inchiesta e le indagini che conduciamo devono essere autorizzate dai governi delle nazioni ove vengono svolte”. L’opinione pubblica mondiale, salvo rare eccezioni, è stata indotta a credere che la missione dell’OMS in Cina non fosse stata concordata all’insegna del reciproco interesse, ma ai fini dell’accertamento della verità.

Al netto dei risultati ottenuti, la missione non è servita a mitigare il sospetto che il regime comunista cinese intenda continuare a nascondere la verità e che l’OMS continui ad avere un occhio di riguardo verso il suo benemerito “finanziatore” (la Cina ha pompato milioni di dollari nell'OMS mentre gli Stati Uniti di Trump ritiravano i propri finanziamenti (2). E se con questa missione l’OMS sperava di riscattarsi per la pessima figura fatta un anno prima, quando nel dare credito alle autorità cinesi sull’andamento dell’epidemia causata da un coronavirus sconosciuto, faceva prima sapere che anche se il nuovo coronavirus aveva una diffusione rapida “non è ancora una pandemia” (4 febbraio 2020) e poi metteva in guardia i paesi membri da inutili allarmismi e misure “sproporzionate” (18 febbraio 2020), allora non c’è riuscita.

La ricerca della verità sull’origine di SARS-CoV-2 e del contagio, quindi, dovrà seguire altre strade. La teoria prevalente tra gli esperti e gli scienziati di tutto il mondo è che il virus si sia evoluto nei pipistrelli, che sono ospiti comuni per molti tipi di coronavirus, e che quindi si sia diffuso a un altro tipo di animale prima di passare agli umani. Questo tipo di “spillover” dagli animali all'uomo è una fonte comune di molte malattie. Finora, tuttavia, non è stata trovata alcuna prova che colleghi direttamente il virus pandemico a una fonte animale intermedia diversa dai pipistrelli.

Resta il fatto che ad oltre un anno di distanza nessuna plausibile causa del passaggio del nuovo virus dai pipistrelli all’uomo è stata ancora individuata, mentre si stanno facendo strada almeno due ipotesi:

  • che la diffusione del virus sia legata alla attività dei laboratori delle strutture di ricerca biologica di Wuhan, di Chongqing e di Nanchino;
  • che SARS-CoV-2 abbia contagiato l’essere umano senza la mediazione di un animale intermedio.

Prima ipotesi. L'idea che gli effetti devastanti della pandemia possano essere il risultato di un incidente di laboratorio o della fuga da uno dei laboratori di Wuhan (3) (e/o di Chongqing e Nanchino) di un virus creato in laboratorio (il know how per farlo non manca) non è nuova, ed è stata accolta con scetticismo e derisione da molti scienziati, giornalisti e politici di tutto il mondo, che spesso l’hanno dipinta e la dipingono come una teoria complottista da quattro soldi. L’ipotesi del lab-leak, fuga dal laboratorio, in particolare, è stata politicamente strumentalizzata sia dai suoi sostenitori, come l’amministrazione americana di Trump, che dai suoi detrattori, come gran parte della comunità scientifica e delle autorità governative legate da interessi commerciali con la Cina, oltre che dall’OMS.

Ciò non toglie che sussistano legittime perplessità e vengano formulate ragionevoli domande sia sulla sicurezza dei laboratori delle strutture di ricerca biologica di Wuhan (e/o di Chongqing e Nanchino, anche se va detto che le perplessità valgono per i laboratori di tutto il mondo!), sia sulle procedure seguite durante la ricerca nelle grotte popolate da pipistrelli. Tali strutture di ricerca biologica includono l'Istituto di virologia di Wuhan (IVW), specializzato nella ricerca sui coronavirus, che da tempo raccoglie campioni da pipistrelli selvatici alla ricerca di nuovi virus e conduce esperimenti su di essi.

Anche se potremmo non sapere mai se la pandemia di COVID-19 sia collegata alla attività di uno di questi laboratori, (4) una cosa è certa: più cresce il numero di questi laboratori ad alta sicurezza in tutto il mondo, e con essi il numero di ricercatori che raccolgono, immagazzinano e sperimentano agenti patogeni pericolosi, più cresce il rischio che incidenti legati a questa attività possano causare epidemie.

Seconda ipotesi. Tra le possibili cause della pandemia di COVID-19 si è fatta strada anche la possibilità che SARS-CoV-2 abbia contagiato l’essere umano senza la mediazione di un animale intermedio, il che farebbe decadere la versione ufficiale fornita dalle autorità cinesi (etichettandola come tentativo di depistaggio), secondo la quale il contagio si sarebbe diffuso nella promiscuità del mega Wet-Market di Wuhan.

Stando a questa ipotesi, il contagio da SARS-CoV-2 potrebbe essere di origine dolosa (procurata pandemia). Gli indizi in questo senso riguarderebbero possibili falle nei sistemi di sicurezza e/o negligenze nella applicazione dei protocolli da parte di chi ha condotto l’attività di ricerca sul campo, indizi che conducono a tre istituzioni di ricerca cinesi: l'Istituto di virologia di Wuhan (IVW), la Terza Università medica militare di Chongqing e il Comando dell’Istituto di ricerca in medicina di Nanchino.

Dopo l'epidemia di SARS del 2002/2003 l'Istituto di virologia di Wuhan (IVW) è diventato un punto focale per la ricerca internazionale sui coronavirus e da allora ha studiato vari animali tra cui topi, pipistrelli e pangolini. A partire almeno dal 2016 - e senza alcuna battuta d’arresto prima dell'epidemia di COVID-19 - i ricercatori dell’IVW hanno condotto esperimenti che hanno coinvolto RaTG13, un coronavirus dei pipistrelli campionato da una grotta nella provincia dello Yunnan nel 2013 (dopo che diversi minatori morirono di malattia simile alla SARS). Nel gennaio 2020, dopo la pubblicazione del sequenziamento completo del genoma del virus pandemico, RaTG13 è stato riconosciuto dall’IVW come il campione a disposizione dell’Istituto più vicino a SARS-CoV-2 (96,2% circa).

Oltre a RaTG13, i due parenti più stretti del virus pandemico sono SL-CoV ZXC21 e SL-CoV ZC45. Negli anni tra il 2015 e il 2017, scienziati della Terza Università medica militare di Chongqing e del Comando dell’Istituto di ricerca in medicina di Nanchino si recano nelle grotte infestate dai pipistrelli nel distretto di Dinghai e nella contea di Daishan, intorno alla città-arcipelago di Zhoushan. Vi lavorano per mesi, ai confini settentrionali della provincia di Zhejiang, e qui gli studiosi catturano e studiano 334 pipistrelli della specie Rhinolophus sinicus alla ricerca di coronavirus. I ricercatori riescono a riconoscere e decifrare il filamento di Rna completo di due nuovi coronavirus simili a Sars-CoV-2 (97% circa) mai campionati prima. Li chiamano SL-CoV ZXC21, prelevato da un pipistrello catturato nel luglio 2015, e SL-CoV ZC45, ricavato da un esemplare catturato nel febbraio 2017.

A seguito di alcuni esperimenti, il gruppo di ricercatori guidato da Wang Changjun, che lavora sia per la Terza Università medica militare sia per il Comando dell’Istituto di ricerca in medicina di Nanchino, e da Youjun Feng, giovane professore della Scuola di medicina dell’Università di Hangzhou nello Zhejiang, scopre che i due coronavirus possono replicarsi con successo nei ratti da latte e possono contagiare specie animali diverse senza la mediazione di un animale intermedio.

Una conclusione sperimentale che chiama in gioco l’indagine condotta dal giornalista investigativo Fabrizio Gatti, inviato dell’Espresso, autore del libro L'infinito errore [Fabrizio Gatti, L'infinito errore. La storia segreta di una pandemia che si doveva evitare, La nave di Teseo, 2021]. Stando all’indagine condotta da Gatti, infatti, le autorità cinesi avrebbero sottovalutato il rischio biologico a cui sarebbero stati esposti i tanti ricercatori che hanno frequentato le grotte popolate da pipistrelli a caccia di coronavirus. Una sottovalutazione del rischio che avrebbe consentito ad uno dei coronavirus di contagiare direttamente, senza la mediazione di un animale intermedio, uno o più ricercatori innescando la catena del contagio.

Anche se tra mille difficoltà, le indagini continuano, perché la verità sulla pandemia deve venire a galla.

Ci chiediamo se non sarebbe auspicabile che politici, diplomatici e imprenditori di tutto il mondo, non solo italiani, si ponessero qualche domanda prima di stipulare accordi economici vantaggiosi con dittature o con governi che non riconoscono ai lavoratori alcun diritto e violano sistematicamente i diritti umani, come la Cina (e la Turchia), per esempio.
Che differenza passa tra fare affari con volgari impostori seduti ai posti di comando e fare affari con la criminalità organizzata?

Riferimenti:

(1) Croce Rossa cinese: «In Italia misure lassiste. Dovete chiudere tutto» - Clicca qui per la versione PDF.

(2) Rosie Perper, China is injecting millions into WHO as the US cuts funds. Experts say Beijing is trying to boost its influence over the agency and its 'deeply compromised' chief, Business Insider, 24 aprile 2020 - Clicca qui per la versione PDF.

(3) Josh Rogin, In 2018, Diplomats Warned of Risky Coronavirus Experiments in a Wuhan Lab. No One Listened, Politico, 8 marzo 2021 - Clicca qui per la versione PDF.

(4) Alison Young, Could an accident have caused COVID-19? Why the Wuhan lab-leak theory shouldn't be dismissed, USA TODAY OPINION, 22 marzo 2021 - Clicca qui per la versione PDF.

Claudio Messori / e-mail: messori.claudio(at)gmail.com