Ricerche

Chef, che materia grigia!

Ricercatori Ibfm-Cnr, in collaborazione con la Federazione italiana cuochi, hanno analizzato per la prima volta, tramite risonanza magnetica e test neuropsicologici, il cervello degli head Chef. Ne emergono fenomeni di plasticità neurale e particolari abilità motorie e cognitive legati alla dimensione della brigata squadra da coordinare in cucina. Lo studio è pubblicato su Plos One

Anche gli chef, come già provato per i musicisti e gli alpinisti, presentano un cervelletto più sviluppato rispetto alle persone che svolgono altri lavori. A rivelarlo uno studio dell’Istituto di bioimmagini e fisiologia molecolare del Consiglio nazionale delle ricerche (Ibfm-Cnr) di Catanzaro pubblicato sulla rivista Plos One.

I ricercatori si sono chiesti se il lavoro di direzione di cucina possa produrre un iper-sviluppo cerebrale e rendere più abili e veloci: le attività che richiedono un continuo aggiornamento e perfezionamento delle capacità acquisite nel tempo sono infatti di fondamentale interesse scientifico.

“Le neuroscienze si sono sempre occupate di musicisti, scacchisti, taxisti e sportivi, dimostrando che l’allenamento finalizzato al miglioramento delle proprie prestazioni produce fenomeni di plasticità neurale rilevabili con le tecniche di risonanza magnetica”, spiega Antonio Cerasa, ricercatore Ibfm-Cnr, che ha ideato e coordinato lo studio. “Nessuno, però, aveva mai studiato gli chef, una categoria di lavoratori impegnati per lunghi periodi di tempo in un’attività motoria e soprattutto cognitiva molto particolare”.

Funzione cognitiva più efficace con muscoli più forti

Funzione cognitiva più efficace con muscoli più fortiL'aumento della forza muscolare attraverso la formazione di resistenza migliora la funzione cognitiva e può impedire la demenza.

In Australia, uno studio dell’Università di Sydney ha collegato una migliore funzione cognitiva con muscoli più forti usando un regime costante di esercizi di sollevamento pesi. Pubblicato sul Journal of American Geriatrics, lo studio ha utilizzato un sistema noto come SMART (Study of Mentally and Resistance Training).

Una prova è stata effettuata su un gruppo di pazienti di età compresa tra 55 e 68 anni, affetti da MCI (lieve compromissione cognitiva). Questa condizione non è altrettanto grave quanto la demenza piena, poiché le persone colpite hanno lievi sintomi cognitivi che non sono abbastanza gravi per renderli inattivi nella normale vita quotidiana.

Le persone che hanno MCI, tuttavia, sono ad alto rischio di sviluppare demenza o Alzheimer: l'80% sviluppa la malattia di Alzheimer entro 6 anni. Il World Alzheimer Report 2016 ha riferito che 47 milioni di persone a livello mondiale sono affette da malattie legate alla demenza, con un aumento previsto di tre volte entro il 2050.

Lo scopo dello studio era quello di misurare gli effetti delle diverse attività fisiche e mentali sul cervello umano. I ricercatori hanno esaminato 100 persone affette da MCI. Sono state divise in quattro gruppi e sono state assegnate loro le attività come segue:

I macachi comprendono le relazioni di parentela

MacachiQuesti primati hanno una visione oggettiva delle relazioni sociali che legano i loro simili e sono in grado di riconoscere rango sociale e relazioni famigliari. Una ricerca dell'Istituto di scienze e tecnologie della cognizione del Cnr e del Deutsches Primatenzentrum di Gottinga mostra come acquisiscano queste competenze e i vantaggi che ne traggono. Lo studio è pubblicato su Royal Society Open Science

L’osservazione di un gruppo di macachi evidenzia che i due cardini della loro organizzazione sociale sono la gerarchia di dominanza e le relazioni di parentela. Queste ultime, in particolare, determinano in larga parte la rete delle interazioni sociali, sia amichevoli, sia aggressive. Essere in grado di riconoscere le relazioni di parentela che legano altri individui, potrebbe quindi aiutare questi primati ad affrontare con successo il loro complesso mondo sociale.

Osservando un gruppo di macachi ospitati al Bioparco di Roma, un gruppo di ricercatori dell'Istituto di scienze e tecnologie della cognizione del Consiglio nazionale delle ricerche (Istc-Cnr) e del Deutsches Primatenzentrum di Gottinga (Germania), ha spiegato come essi riescano a identificare le relazioni di parentela e quale sia il loro vantaggio nel farlo.

“Sappiamo da trent’anni, grazie a precedenti studi, che i macachi sono capaci di riconoscere le relazioni di parentela che legano altri individui.

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