Biologia

Uno studio ipotizza perché i volatili hanno perso i denti

Uno studio ipotizza perché i volatili hanno perso i dentiFino ad ora si riteneva che ciò permettesse loro di ridurre il peso della testa e quindi facilitare il volo. Ora, un gruppo di scienziati ha una nuova ipotesi.

Gli uccelli sono dotati di un becco senza denti come lo erano alcuni dinosauri del Mesozoico (da 251 milioni di anni fa a 65 milioni di anni fa). Diverse ipotesi sono state proposte per spiegare la fisiologia del becco degli uccelli. Per alcuni ricercatori, la scomparsa dei denti ha permesso di ridurre il peso della testa e facilitare la dinamicità del volo. Ma questo non spiega perché alcuni dinosauri carnivori mesozoici, incapaci di volare, erano sprovvisti dei denti ma dotati di becchi.

Un gruppo di ricercatori dell'Università di Bonn(1) in uno studio, pubblicato su Biology Letters (Royal Society),(2) sostengono che la tesi più comunemente accettata è quella di un cambiamento nella dieta degli uccelli. Il becco avrebbe permesso loro di catturare più facilmente alcuni tipi di cibo, come cereali e semi. Ciò avrebbe facilitato la loro sopravvivenza durante la grande estinzione della specie circa 65 milioni di anni fa, causata principalmente dalla caduta di un gigantesco asteroide.

Il team di ricerca dell'Università di Bonn hanno indicato una nuova ipotesi relativa alla strategia di riproduzione dei dinosauri aviari e alla durata dell'incubazione delle uova. Si basano su recenti ricerche dei paleontologi americani che hanno evidenziato la lenta incubazione delle uova di dinosauro. Sarebbero stati diversi mesi, come quelli dei rettili primitivi, mentre negli uccelli moderni l'incubazione dura molto meno (da circa dieci giorni a qualche settimana).

I meccanismi di comunicazione chimica in ambiente acquatico

GamberettoUn recente studio dell’Icb-Cnr sui meccanismi di comunicazione chimica in ambiente acquatico mette in crisi la tradizionale distinzione tra i sensi, olfatto e gusto, basata su criteri spaziali. Il lavoro pubblicato su Pnas

Tradizionalmente, l’olfatto è considerato un senso ‘a distanza’ mentre il gusto è trattato come un senso ‘per contatto’. Si tratta però di una distinzione basata prevalentemente sulle percezioni umane e che è stata sottoposta a forte critica in un articolo pubblicato nel 2014 sulla rivista Frontiers in Chemistry.

Secondo questa nuova prospettiva, in ambiente acquatico si può osservare un’inversione nella portata a distanza dell’olfatto quando i segnali olfattivi sono veicolati da molecole insolubili in acqua, ma che essendo volatili, possono diffondersi nell’aria e arrivare al nostro naso.

Su tale premessa si fonda il lavoro sperimentale guidato da Ernesto Mollo, ricercatore dell’Istituto di chimica biomolecolare del Consiglio nazionale delle ricerche di Pozzuoli (Icb-Cnr), recentemente pubblicato sulla rivista Pnas. Lo studio, svolto nell’ambito di una collaborazione multidisciplinare tra l’Icb-Cnr e varie istituzioni di ricerca italiane e straniere, sfida l'attuale letteratura sulla chemio-recezione in ambiente acquatico, secondo cui il mondo olfattivo di crostacei e pesci è limitato alla sola percezione a distanza di sostanze solubili in acqua.

Le scimmie hanno comportamenti tecnologici

Cebi barbutiI cebi barbuti di Fazenda Boa Vista, in Brasile, tramandano di generazione in generazione comportamenti tecnologici come l’uso di strumenti per rompere noci di palma: allo studio che ha ottenuto la copertina di Pnas partecipa Elisabetta Visalberghi dell’Istituto di scienze e tecnologie della cognizione del Cnr

Le tradizioni culturali umane si mantengono attraverso meccanismi quali l’imitazione e l’insegnamento.

Ma cosa accade in altre specie?

I risultati di uno studio su una popolazione di cebi barbuti ‘Sapajus libidinosus’, condotto da un gruppo di ricercatori - fra cui Elisabetta Visalberghi dell’Istituto di scienze e tecnologie della cognizione del Consiglio nazionale delle ricerche di Roma (Istc-Cnr) - a Fazenda Boa Vista, nel Nord-Est del Brasile, mostrano che l’uso di strumenti per queste scimmie è una ‘tradizione’ che gli individui imparano da giovani e che passa di generazione in generazione.

L’articolo ‘Synchronized practice helps bearded capuchin monkeys learn to extend attention while learning a tradition’ è stato appena pubblicato sul numero dei Proceeding of the National Academy of Science (Pnas) guadagnandosi anche l’onore della copertina.

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