Ogni anno ingeriamo circa 32 mila microplastiche

32 mila microscopici pezzetti di plastica ( microplastiche ) finiscono nel nostro corpo. Sono tutti pezzi dei nostri rifiuti finiti in mare o nell’aria

Secondo una ricerca pubblicata su "Enviromental – science & technology" ogni anno ingeriamo circa 32.000 microplastiche. Ecco come

Il mondo ci si rivolterà contro, pensare di violare i limiti di utilizzo di un materiale come la plastica pensando di allontanarlo dalla nostra vita per sempre una volta gettato nei rifiuti è pura follia. Ed oggi la scienza lo dimostra. Secondo una ricerca pubblicata su Enviromental – science & technology –(1) ogni anno ingeriamo circa 32.000 microplastiche. Pro capite. Sì, esatto: 32 mila microscopici pezzetti di plastica finiscono nel nostro corpo, e gli unici che possiamo incolpare siamo noi, sono tutti minuscoli pezzi dei nostri rifiuti finiti in mare o nell’aria e che noi poi riportiamo a casa bevendo, mangiando o anche solo respirando.

Un articolo di Quartz,(2) per esempio, ci spiega come circa 2000 microplastiche l’anno finiscano nel nostro organismo tramite il normalissimo sale da cucina. Un capitolo della suddetta ricerca infatti è dedicato ad uno studio fatto su 39 marche diverse di sale proveniente da 21 paesi diversi del mondo. Il risultato è sconvolgente, su 39 marche solo tre sono risultate prive di microplastiche, per l’esattezza un raffinato sale marino proveniente da Taiwan, un raffinato sale roccioso cinese e un sale marino non raffinato in Francia.

Il resto, un disastro. Sali marini, sali di roccia, sali di lago, tutti pieni di plastica. Ma come ci finisce la plastica nel nostro sale da cucina?

Semplice. Il sale, chiaramente quello marino e di lago, non è altro che ciò che resta dall’evaporazione dell’acqua. Viene poi raccolto, impacchettato e venduto. Ed è l’acqua in questione a riportare in casa nostra i residui di quella plastica con la quale ogni giorno noi avveleniamo mari, fiumi e laghi del nostro pianeta.

Nuovi indizi per una conservazione delle specie più efficace

Un nuovo studio condotto da Stanford ha creato uno schema di conservazione delle specie che si concentra ampiamente su quelle che sono note come ecoregioni

I risultati mostrano una forte evidenza per le regioni che dividono le comunità vegetali e animali - uno sviluppo importante nel dibattito che dura da secoli sulla conservazione delle specie.

Nessuno aveva riferito di aver visto la strana creatura - un incrocio tra un orso e una scimmia - da prima della Grande Depressione. Poi, la scorsa estate, un biologo dilettante si è imbattuto nel presunto estinto canguro Wondiwoi mentre faceva trekking in Papua Nuova Guinea. La rivelazione ha sottolineato quanto poco sappiamo del mondo naturale: un grosso ostacolo alla conservazione.

Un nuovo studio condotto da Stanford supporta un approccio per la protezione di tutte le specie in un'area - quelle che conosciamo e quelle, come il canguro degli alberi, che per gli scienziati non hanno nemmeno bisogno di protezione. Questo schema di conservazione si concentra ampiamente su quelle che sono note come ecoregioni. Queste sono regioni geograficamente uniche, come deserti e foreste pluviali, che contengono comunità distinte di piante e animali.

Il nuovo studio, pubblicato su Nature Ecology & Evolution,(1) fornisce prove convincenti che le ecoregioni dividono significativamente le comunità di piante e animali. Questo apre un percorso verso nuovi approcci di conservazione che proteggono in modo più economico ed efficace le specie poco conosciute, come il canguro degli alberi, e preziosi servizi naturali come il controllo delle malattie e la filtrazione dell'acqua.

“La conservazione ambientale è limitata dalla mancanza di finanziamenti e altre risorse”, ha affermato l'autore principale dello studio Jeffrey Smith,(2) uno studente laureato in biologia di Stanford. "Le ecoregioni ci danno un modo per allocare in modo efficace i finanziamenti limitati".

Lo smog uccide ogni anno seicentomila under 15

Il 95-98% delle persone che vivono nelle città dell'UE sono esposte a livelli di smog superiori a quanto stabilito dalle linee guida emesse dalla WHO

I dati dell'Oms dimostrano che in totale 1,8 miliardi di giovani di età inferiore ai 15 anni, tra cui 630 milioni sotto i 5 anni, respirano ogni giorno aria inquinata ( smog ): il 93% della popolazione totale

La quasi totalità dei cittadini che vivono in una città dell'Unione europea respira aria dannosa per la sua salute. È quanto si legge nel rapporto dell'Agenzia europea dell'ambiente (AEA) secondo cui il 95-98% delle persone che vivono nelle città dell'UE sono esposte a livelli di ozono superiori ai livelli stabiliti dalle linee guida emesse dalla World Heath Organization (WHO).

Secondo il rapporto dell'AEA intitolato “Air quality in Europe 2018”, il trasporto su strada è una delle principali fonti di inquinamento atmosferico in Europa, in particolare di inquinanti nocivi quali il biossido di azoto e il particolato. Anche le emissioni provenienti dall'agricoltura, dalla produzione di energia, dall'industria e dai nuclei domestici contribuiscono a inquinare l'atmosfera.

Il rapporto presenta gli ultimi dati ufficiali sulla qualità dell'aria comunicati nel 2016 da oltre 2 500 stazioni di monitoraggio presenti in tutta Europa ed evidenzia che “il settore agricolo è responsabile di oltre il 90% delle emissioni di ammoniaca nell'UE: l'ammoniaca contribuisce alla deposizione acida e all'eutrofizzazione, influenzando negativamente la qualità del suolo e dell'acqua. Inoltre reagisce nell'aria per formare particelle secondarie”.

Secondo l'AEA “mentre altre emissioni sono diminuite, le emissioni di ammoniaca dall'agricoltura sono aumentate nel periodo 2013-2016”.

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